Passato, presente e futuro. Il tattoo; intendere l’anima rileggendo il corpo

A chi decide di tatuarsi vengono chiesti spesso i significati dei tatuaggi che indossa.

Utilizzo il verbo indossare perché li ritengo come degli abiti permanenti attaccati al proprio corpo.

Degli indumenti che si è scelto accuratamente di far aderire alla propria pelle esteriormente quanto interiormente.

Ogni persona delibera dove, come, quando tatuarsi, per un motivo o per un altro.

Non di rado si stabilisce di tatuare la propria storia, magari a piccoli frames, carichi di senso non esplicito, o almeno non sempre e mai completamente.

Talvolta, invece, si decide di ricordare un luogo dove si è stati, che può essere fisico oppure onirico, ma così tangibile da ritenerlo degno di meritare un posto sulla, o meglio nella propria pelle.

Altre volte ancora, si nota per caso e di sfuggita un simbolo per strada e dopo aver effettuato delle ricerche approfondite concernenti il suo significato, si pensa che forse non è stato un caso che il proprio sguardo abbia colto quel particolare pur nella fugacità del momento.

Così si decide di rielaborarlo e fargli assumere una forma personale, che possa in qualche modo rappresentare lo specchio di ciò che si ha dentro.

A questo punto si inizia a definire la parte del proprio corpo più idonea ad ospitarlo e subito dopo la grandezza, seguita dal colore. Se il tatuaggio sarà una scritta si provvederà a scegliere anche il font che meglio si confà al proprio mondo.

Successivamente ci si metterà alla ricerca della tecnica più adatta che dovrà utilizzare l’unico a cui si darà la possibilità di prendere parte all’intimo atto di accoppiamento tra simbolo e soggetto, nonché colui che darà vita al progetto.

Dal momento in cui quest’ultimo si compie, infatti, il tatuaggio e chi sceglie di indossarlo, rappresenteranno un unico elemento del puzzle sociale, che per assemblarsi agli altri componenti, dovrà consolidarsi e rafforzarsi dimostrando a se stesso il proprio unico ed inimitabile valore. Solo in quel momento ciò che prima era solo un simbolo oggettivo, potrà ritenersi davvero parte di quel corpo soggettivo e di quella corporeità che gli ha donato un senso profondo.

A molte persone non piacciono i tatuaggi. Molte altre, invece, ripeterebbero quel processo che ho descritto, centinaia di volte.

A mio avviso, siamo il nostro passato, presente e futuro. Siamo le azioni che abbiamo e non abbiamo compiuto; siamo i sorrisi o le lacrime con cui decidiamo di segnarci il viso; siamo ciò per cui riteniamo di dover combattere ogni giorno.

Siamo emozioni, sentimenti, paure, incertezze.

Siamo un ordigno pronto ad esplodere.

Siamo tante cose ed ognuno sente di poterle accettare mettendo in atto procedure differenti.

C’è chi si tatua e chi decide di sottoporsi a dei trattamenti estetici; c’è chi si trucca ogni giorno e chi fa attività fisica; c’è chi legge, chi scrive, chi decide di rilassarsi sotto un sole splendente in una calda giornata d’estate…

Tutto questo è finalizzato ad un solo obiettivo: far avvenire quel processo di intimo accoppiamento fra ciò che si è già e ciò che si decide liberamente di essere.

Solo sapendo di poter esprimere e modellare se stessi, si sentirà di poter essere e non solo di esistere.

Qualsiasi cosa consenta a quell’assemblaggio di consolidarsi, è degna di essere saggiata, esperienziata ed incorporata, con lo scopo di poter abitare il proprio corpo, espressione quest’ultimo, di ciò che si è scelto di essere tramite la propria corporeità.

Bisogna ricordare che l’Altro è sempre un mutaforma e come ogni essere umano necessita di essere rispettato nella forma che sceglie di darsi, nonché l’unica, qualunque essa sia, di consentire a costui di sentirsi libero di esprimere la propria individualità.

-Giulia, Akali Pavan



“Giulia Akali Pavan è  tirocinante presso dell’università di Roma Tre, Facoltà di Scienze della Formazione. Questo articolo è parte del lavoro di tirocinio e formazione che sta svolgendo presso il Centro Dharma.

L’articolo è stato scritto sotto la supervisione della dott.ssa Mabel G. la Porta Pedagogista ed educatrice del Centro Dharma.”



Rispondi

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: